USA il giudice le intima di fare il tifo per il suo stupratore

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Questa è una di quelle notizie che oltre a far accapponare la pelle, dovrebbe far riflettere molto: la corte suprema di Washington ha condannato una ragazza di sedici anni a pagare 45 mila dollari di spese legali, rigettando anche il ricorso presentato dai genitori della ragazza

Questa è una di quelle notizie che, oltre a far accapponare la pelle, dovrebbe far riflettere molto: la corte suprema di Washington ha condannato una ragazza di sedici anni a pagare 45 mila dollari di spese legali, rigettando anche il ricorso presentato dai genitori della ragazza.
Qual è il motivo? La ragazza si è rifiutata di applaudire il suo stupratore durante una partita di basket, nella quale il ragazzo giocava; ma facciamo un passo indietro e vediamo nello specifico come si sarebbero svolti i fatti.
Una ragazza di sedici anni, ex cheerleader di una scuola superiore del Texas, nell’ottobre del 2008 durante una festa degli studenti, viene trascinata con la forza in una stanza da un ragazzo dove la violenta, assieme ad altri due compagni.



L’artefice principale di questo stupro è il cestista di punta della squadra di basket, che viene subito denunciato dalla ragazza, ma per il processo trascorrono due lunghi anni, dove i legali del ragazzo riescono ad ottenere il patteggiamento: il ragazzo quindi ha ammesso tutte le sue colpe, ma ha tenuto a precisare che per colpa dei fiumi di alcol che scorrevano alla festa e le effusioni della ragazza, ha frainteso, agendo in quel modo.
E così il giudice ci casca tutto vestito e concede al ragazzo una sospensione della pena di due anni; così il ragazzo, con la fedina penale macchiata, deve solo prestare 250 ore ai servizi sociali.
Se la sentenza pare discutibile, bisogna ancora sentire il resto per indignarsi del tutto: la ragazza che guida le cheerleader si trova al palazzetto per incitare la sua squadra, ma al momento di pronunciare il nome del suo aguzzino, si rifiuta, facendo così indispettire il provveditore del distretto scolastico ed il preside del liceo, i quali le intimano di nominarlo e fare il tifo per lui.
I genitori decidono così di fare causa al liceo ad al provveditorato agli studi, ma la corte suprema, rigettando il ricorso, dà ragione alla scuola perchè la ragazza in quel momento “era la portavoce del Liceo e non di se stessa, quindi non aveva alcun diritto di starsene in silenzio“.
Senza parole.