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Intricato nodo del clima

In un periodo in cui l’argomento principale di ogni discussione politica è la finanza, sembrava che il problema dell’emergenza ambientale fosse stato accantonato chissà dove, come se dimenticato.

Che non fosse affatto così ci ha pensato negli ultimi giorni proprio il Governo italiano, scompaginando all’improvviso un equilibrio comunitario che sembrava raggiunto e gettando nel piatto una serie di problemi che mettono seriamente in crisi gli accordi raggiunti negli anni precedenti.


Come noto, il celebre Protocollo di Kyoto impone a tutti i Paesi aderenti, fra cui quelli comunitari, una serie di obiettivi nella comune lotta ai fenomeni che causano i cambiamenti climatici, con particolare attenzione alla riduzione dei gas responsabili dell’effetto-serra.

Fra le nazioni industriali aderenti all’accordo, sono proprio gli Stati europei ad essersi sobbarcati gli oneri maggiori. I paesi più inquinanti del mondo, infatti (Stati Uniti, Cina, India), si sono rifiutati di aderire, ritenendo troppo costosi gli oneri che ne derivano ma anche contestando nel merito la veridicità della stessa teoria dei cambiamenti climatici, come sostenuto a più riprese dal Presidente americano George W. Bush.

L’Europa ha dunque deciso di andare comunque avanti da sola, fissando degli obiettivi interni, coerenti con Kyoto, fra i quali il famoso 20-20-20, ossia, ottenere tre ambiziosi risultati entro il 2020. Si tratta, cioè, con riferimento ai valori registrati nel 1990 di arrivare alla riduzione del 20% delle emissioni di anidride carbonica, di aumentare del 20% il consumo delle energie rinnovabili e di incrementare del 20% la complessiva efficienza energetica.


Questi obiettivi, fissati a livello comunitario, devono ancora trovare attuazione in quanto si tratta ora di tradurli in precise azioni da adottare nei singoli comparti industriali. Le prime indicazioni dovrebbero arrivare nel tavolo tecnico convocato per il prossimo dicembre, ma adesso è tutto ritornato in discussione.