Rubygate: la requisitoria della Boccassini

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Altra giornata molto importante nell’ambito delle cronache giudiziarie del nostro Paese e delle vicende dell’ex presidente del Consiglio e attuale leader del Popolo della Libertà e della coalizione di centrodestra Silvio Berlusconi. Nella fattispecie, oggi, al Palazzo di Giustizia di Milano è in corso il processo Ruby in cui l’imputato principale è proprio il cavaliere. Il calendario giudiziario prevede per la giornata di oggi la requisitoria della pubblica accusa: la parola è dunque a il pm Ilda Boccassini. La Boccassini ha ripreso alcuni passaggi della requisitoria del collega Antonio Sangermano di qualche mese fa.

Ruby era minorenne

Al centro della requisitoria della pubblica accusa vi è in primo luogo la questione dell’età di Ruby. Significa che la Boccassini in aula ha dato per scontato che coloro che organizzavano le feste a casa di Berlusconi non potevano non sapere che Ruby era minorenne all’epoca dei fatti (le feste in questione risalgono al settembre del 2009 quando Silvio Berlusconi era presidente del Consiglio). E, inoltre, altro punto centrale della requisitoria di stamane della Boccassini è la certezza dell’attività di Ruby: per il pm Ruby non poteva che prostituirsi per avere quella disponibilità di soldi che in effetti in quel periodo è stata documentata (leggi anche: Pdl in piazza contro i giudici di Milano).

Mora, Fede e Berlusconi il 14 febbraio 2010

Sono stati ricostruiti anche i fatti di quell’ormai famoso 14 febbraio (stiamo facendo riferimento al 14 febbraio del 2010). In effetti gli organizzatori della serata che portò l’allora minorenne Ruby ad Arcore sono Emilio Fede e Lele Mora. Entrambi coinvolti fino al collo per ragioni differenti. Per quanto riguarda Emilio Fede, la Boccassini sostiene che non poteva non sapere che Ruby fosse minorenne perchè era stato il presidente di giuria di un concorso di bellezza cui Ruby aveva partecipato qualche tempo prima e, quindi, per forza, doveva conoscerne l’età. Per quanto riguarda Lele Mora, di contro, le ragioni sono di convenienza: la situazione economica disastrata di Mora (ad un passo dal fallimento) lo avrebbe spinto a ingraziarsi l’allora presidente del Consiglio in tutti i modi. Del resto Mora ottenne in quel periodo da Berlusconi circa cinque milioni di euro finiti in parte in Svizzera e in parte a Emilio Fede (leggi anche: Il processo Mediaset continua). Le accuse rimangono sfruttamento della prostituzione minorile e concussione.