Ingovernabilità e grande coalizione

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I risultati delle consultazioni elettorali del 24 e del 25 febbraio sono ormai noti a tutti, più o meno. Ed è questo il momento tipico in cui, storicamente, il commento al voto la fa da padrone. A ben guardare, tranne sconfitte di proporzioni colossali, è difficile che un qualche leader o esponente di partito ammetta una debacle sancita dalle urne. Tendenzialmente, appaiono tutti più propensi a travestire da vittoria le piccole affermazioni.

Elezioni 2013: non c’è maggioranza

Nel caso delle elezioni di ieri, però, il contesto è ancora più ingarbugliato: non c’è che dire che Berlusconi ha stravinto, eppure ha preso meno voti del centrosinistra. E, allora, ha stravinto o no? Senza dubbio il cavaliere ha portato a termine un recupero elettorale negli ultimi mesi che ha del prodigioso e il suo risultato più grande è stato, nei fatti, impedire la vittoria di Bersani. E, ancora: se alla Camera il centrosinistra gode di un + 0,4% e al Senato di un altrettanto risicato 0,9% la parola d’ordine è ingovernabilità. Anche perché a rendere di ancor più difficile lettura il quadro complessivo immediatamente post elettorale, ci si mette anche il peso specifico di Grillo e l’enorme consenso che il Movimento a 5 stelle ha riscosso sia alla Camera che al Senato della Repubblica (leggi: I sondaggi del Pd: pericolo Grillo).

Grande coalizione o nuove elezioni?

La parola che più si ripete nelle ultime ore è dunque: ingovernabilità. Perché si parla del centrosinistra con maggioranza alla Camera e di centrodestra al Senato. Chiaramente l’unico antidoto alla ingovernabilità è il classico schema cui il nostro Paese ha fatto ricorso nei momenti di maggiore difficoltà della sua storia repubblicana: la grande coalizione. E, in maniera intuibile, si tratterebbe di una grande coalizione guidata da centrodestra e da centrosinistra, lasciando al premier dimissionario Mario Monti – Scelta Civica ha incassato anche meno del 10% – un altro ruolo (leggi: Monti al Quirinale?). E tenendo presente il peso di Grillo e delle sue proposte, vale a dire di un ritorno alle voto entro 6 mesi in modo da cavalcare il suo exploit e, nella sua ottica, dare la spallata definitiva alle forze della Seconda Repubblica.