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Rinuncia eredità

Il nostro ordinamento prevede che, alla morte di una persona (il cosiddetto “de cuius”), l’insieme delle situazioni giuridiche patrimoniali (beni mobili e immobili, crediti e debiti) debbano necessariamente passare a una o più altre persone o enti: non è infatti ammesso, per motivi facilmente intuibili, che questi rapporti giuridici non abbiano più nessuno cui far capo.

La successione può avvenire per testamento o, in mancanza, secondo legge, ed essa può riguardare singoli beni o diritti (legato) oppure la generalità di essi (eredità).

Tuttavia, mentre il legato si attua immediatamente (salvo rinuncia esplicita da parte del legatario), l’eredità deve essere sempre accettata con un atto formale di accettazione da esprimersi inderogabilmente entro il tempo di dieci anni dalla morte del de cuius; la mancata accettazione entro il termine è da intendersi come rifiuto.

Ma anche senza attendere la scadenza dei dieci anni, il chiamato all’eredità può espressamente rifiutare la stessa con un’apposita dichiarazione.

In un momento successivo, egli può anche ritirare il rifiuto e accettare l’eredità, salvo che nel frattempo non sia subentrato un altro chiamato all’eredità che abbia già accettato; se questo avviene, il diritto ad accettare è perduto per sempre.

La rinuncia, ai sensi dell’articolo 519 del codice civile, è da farsi mediante una dichiarazione sotto forma di atto pubblico, presso un notaio o la cancelleria del tribunale. Essa è incondizionata e totale: non è ammesso rinunciare solo ad una parte dell’eredità.

La rinuncia non è più possibile qualora si siano compiuti atti incompatibili con la volontà di rifiutare: per esempio, quando si è già entrati nel possesso materiale dei beni.