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Brunetta e la pensione delle donne

Sulla spinta della sentenza di condanna proveniente nelle settimane scorse dalla Corte di Giustizia Europea, il ministro della Funzione Pubblica Renato Brunetta ha proposto di unificare l’età pensionabile di uomini e donne, e in particolare elevare l’età femminile per il raggiungimento della pensione di vecchiaia dagli attuali sessant’anni a sessantacinque, come per gli uomini.


La proposta di Brunetta ha scatenato un coro di polemiche, soprattutto in ambito sindacale: se Carlo Podda (CGIL) avvisa il ministro di “non provarci nemmeno” oppure “ci sarà la sollevazione dei dipendenti pubblici”, il segretario della CISL Raffaele Bonanni invita alla prudenza, ricordando che in tema pensionistico occorre sempre discutere con le parti sociali (“Niente fughe in avanti”).

Cesare Damiano, ministro-ombra del PD sul Welfare, attacca Brunetta per il suo “calcolo opportunistico”, affermando che “quando si parla di lavoro femminile e di pensionamento non lo si può fare soltanto per quadrare i conti”, mentre Anna Finocchiaro definisce l’idea come “figlia dell’improvvisazione di questo Governo”.

Nell’opposizione solo i Radicali si dichiarano d’accordo con Brunetta.
Ma anche nella maggioranza si levano voci perplesse, soprattutto da parte della Lega Nord, che per bocca di Roberto Calderoli definisce quella di Brunetta semplicemente “una battuta”, mentre Alessandra Mussolini dichiara che “non si può fare cassa sulla pelle delle donne”.


Diversi esponenti del Popolo della Libertà, tuttavia, non chiudono le porte in faccia al ministro, ritenendola un’ipotesi possibile, ma solo purché si garantisca alle donne un pari trattamento rispetto agli uomini anche in tema di accesso al lavoro e alla carriera, come Gianni Alemanno, mentre per Isabella Bertolini ritiene che “se ci sono delle donne che vogliono lavorare quanto gli uomini è giusto dare loro il diritto di farlo” e per il ministro Giorgia Meloni la questione “non è un tabù”.