I nazisti tornano in Parlamento

di Gianni Puglisi Commenta

Le elezioni politiche greche avrebbero segnato, forse definitivamente, il temporaneo declino delle forze europeiste, moderate e democratiche a favore dei movimenti populisti di estrema sinistra e di estrema destra destra

Mentre in Italia si veniva a conoscenza della schiacciante vittoria di Francois Hollande sul Presidente uscente Nicolas Sarkozy, dalla Grecia cominciavano a giungere, come certamente saprete, i primi, oltre modo preoccupanti, dati sulle elezioni politiche greche che, non certo a dispetto delle attese, avrebbero segnato, forse definitivamente, il temporaneo declino delle forze europeiste, moderate e democratiche a favore dei movimenti populisti di estrema sinistra, attualmente rappresentati la seconda forza politica del Paese grazie al 16% conquistato dalla Coalizione della Sinistra Radicale (Syriza), e di estrema destra destra che, grazie al sorprendente e sconvolgente partito politico neonazista Alba Nuova (che in campagna elettorale avrebbe previsto, in caso di elezioni positive, la possibilità di spingere il Parlamento greco ad approvare una legge grazie alla quale sbarrare i confini da e verso la Turchia grazie ad un cordone di mine antiuomo), sarebbero tornati, con ben 22 seggi, in Parlamento.

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La disperazione, la comprensibilissima disperazione greca, purtroppo, non sarebbe stata intercettata, come invece sarebbe positivamente accaduto in Francia, dalle forze politiche più adatte e propense ad un cambiamento radicale per quanto democratico e politico (nell’accezione più ampia del termine) bensì dalle forze maggiormente radicali che, proponendosi di non far mai più pesare sulle spalle dei greci, anche con atti violenti e per nulla condivisibili, le impopolari decisioni della famosa troika (Unione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale) che, pur di sbloccare i fondi europei necessari al salvataggio, in extremis, del Paese ellenico, gli avrebbero imposto tutta una serie di procedure cautelative consistenti, essenzialmente, nella riduzione dei posti di lavoro pubblico allo scopo di ridurre le spese dell’amministrazione centrale e nell’aumento delle tasse allo scopo di ripagare i debiti internazionali.

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