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Le linee-guida della riforma della giustizia

Manca ancora un disegno di legge preciso, ma a poco a poco stanno emergendo i contorni della riforma del sistema giudiziario italiano fortemente sostenuta dal premier Silvio Berlusconi.

A spiegare quello che ne sarà forse il punto centrale è l’uomo di fiducia di Berlusconi nelle questioni legali: l’on. Nicolò Ghedini (PdL), avvocato e parlamentare; e si tratta, come ampiamente annunciato, della separazione delle carriere, tema caro al centrodestra ormai da molti anni e finora mai condotto in porto. Ma, secondo Ghedini, questa sarà la volta buona.


Pubblici ministeri e organi giudicanti saranno nettamente separati: pur essendo entrambi ruoli incardinati all’interno del potere giurisdizionale dello Stato, saranno comunque funzioni nettamente distinte. E questo, come è evidente, comporterà carriere separate e differenti percorsi d’accesso, a partire da concorsi distinti.

E naturalmente, spiega Ghedini, una funzione sarà incompatibile con l’altra.
Il PM potrà divenire organo giudicante (e viceversa, ovviamente), dunque, solo dimettendosi e rifacendo da capo il concorso.

Il suo potere, inoltre, sarà nettamente svincolato da quello della polizia giudiziaria, riconoscendo a quest’ultima molta maggiore autonomia di movimento rispetto ad adesso.
Ma anche ai vertici della magistratura ci sarà una vera rivoluzione: al posto dell’attuale Consiglio Superiore, sorgeranno due distinti CSM, e in nessuno di essi il ruolo di presidente sarà affidato al capo dello Stato, bensì sarà nominato internamente.


In entrambi i Consigli avremo, come nel CSM attuale, quindici membri: cinque nominati dal Presidente della Repubblica, cinque dal Parlamento e cinque dai magistrati.

Una riforma di questa portata, ovviamente, sarà attuabile in tempi lunghi: non solo per la prevedibile ostilità dell’opposizione e di parte dell’opinione pubblica, ma anche e soprattutto perché essa sarà possibile solo intervenendo in maniera rilevante sulla Costituzione.