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Trattativa sui rimpatri con la Tunisia

A pochi giorni di distanza dalla protesta pacifica degli oltre mille clandestini ospitati nel centro di accoglienza temporanea presso l’isola di Lampedusa, e la protesta degli stessi lampedusani contro l’ipotesi di costruire un nuovo centro di identificazione proprio nella piccola isola delle Pelagie, sono riprese febbrilmente le trattative fra il governo italiano e gli esecutivi delle nazioni nordafricane per garantire il rientro dei clandestini e una più efficace prevenzione delle partenze.


Mentre sembra segnare il passo l’accordo dell’estate scorsa con la Libia, che a tutt’oggi sembra aver fatto poco per impedire il fenomeno, il ministro degli Interni Roberto Maroni è volato a Tunisi per incontrare l’omologo tunisino Rafik Belahay Kacem.
In verità, un accordo fra i due governi esiste già da molti anni, ma a quell’epoca la presenza di immigrati tunisini nel territorio italiano non era così massiccia come oggi: necessario, dunque, rivedere e aggiornare quell’accordo.

Il governo tunisino, tuttavia, non è favorevole ad un rimpatrio di massa, e sarà dunque necessario che da Lampedusa i rientri dei clandestini siano scaglionati. Kacem, inoltre, ha fatto presente che la gran parte dei clandestini proviene non dalle ben sorvegliate coste tunisine bensì dal porto libico di Al Zawra, pochi chilometri oltre il confine, in un’area poco presidiata dalla polizia di Gheddafi.


Difficile, dunque, poter dare delle risposte concrete al problema senza un accordo che coinvolga congiuntamente i tre Stati interessati.

Intanto, a Lampedusa la situazione sembra tornata alla normalità, anche se le proteste dei cittadini non si fermano e la polemica si accresce in seguito alle denunce di alcune associazioni internazionali che sottolineano l’insufficienza della struttura esistente, a causa della quale molti extracomunitari sarebbero costretti addirittura a dormire all’aperto.