Che cos’è l’appropriazione indebita

di Gianni Puglisi Commenta

Il reato di appropriazione indebita si configura nel caso in cui il detentore del possesso di un bene, di proprietà altrui, sottragga il bene medesimo al soggetto offeso.

Commette reato di appropriazione indebita chiunque, per ottenere un vantaggio personale a scapito di altri, si appropri di somme di denaro, o di altri beni mobili, di cui sia possessore.

Nel caso in cui, invece, il reo non abbia il possesso dell’oggetto sottratto indebitamente si configurerebbe il reato di furto.

La differenza, sottile, tra i due reati, sta nella specificazione che viene data ai termini di possesso e di proprietà.

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Se, infatti, nel linguaggio comune le due parole possano sembrare sinonimi, nel campo legislativo e giudiziario, soprattutto in questo specifico caso, sono invece completamente differenti.

Così come stabilito dal codice di procedura penale la proprietà è “il diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico” mentre il possesso sarebbe “il potere sulla cosa che si manifesta in un’ attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale. Si può possedere direttamente o per mezzo di un’altra persona, che ha la detenzione della cosa”.

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Come si sarà ormai capito, dunque, furto e appropriazione indebita differiscono per il fatto che nel primo caso l’autorità giudiziaria è tenuta ad agire qualora vi sia stata una violazione congiunta e della proprietà e del possesso, mentre nel secondo caso si adisce alle vie legali soltanto in seguito a violazione della proprietà, giacché, come stabilito per legge, il possesso del bene, materiale o immateriale che sia, si troverebbe già in mano al soggetto colpevole.

Questo particolare reato è procedibile a querela di parte (nella stragrande maggioranza dei casi) o d’ufficio nel caso in cui intervengano le aggravanti generiche stabilite dall’art. 61 del codice di procedura penale.

La pena prevista, che aumenta a discrezione dell’ente giudicante nel caso in cui vi sia il riconoscimento di una o più circostanze aggravanti, è la reclusione sino a 3 anni congiuntamente al pagamento di una sanzione pecuniaria pari a 1.032 euro.