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Sardegna, urne deserte per i referendum

Mentre si registra a Vicenza un discreto successo del referendum autogestito sulla base Dal Molin (per quanto privo di ogni valore giuridico), si è rivelata invece un flop, in Sardegna, la votazione sui tre quesiti abrogativi inerenti altrettanti leggi regionali.

Se scarso dibattito hanno suscitato i primi due (riguardanti la creazione di un unico sistema integrato a livello regionale per la gestione delle risorse idriche), una ben più aspra discussione ha caratterizzato il terzo quesito, inerente l’abrogazione della cosiddetta “legge salvacoste” (L.R. 8/2004), ossia il piano paesistico regionale contenente la famosa norma che impedisce – salvo casi eccezionali – la costruzione di qualsiasi edificio entro una fascia di due chilometri dal mare.

Voluta a suo tempo e difesa con grande determinazione dal governatore Renato Soru e osteggiata con altrettanta determinazione dall’opposizione di centrodestra, la norma pone a confronto due esigenze molto sentite nell’Isola e decisamente in contrasto: la tutela dell’ambiente e lo sviluppo turistico. Per questo motivo, ambientalisti, sindaci, imprenditori e semplici cittadini hanno avuto modo di dire la loro negli ultimi anni, senza giungere mai ad un’improbabile soluzione che accontentasse tutti.
Oltre agli aspetti di merito, inoltre, il referendum era anche un banco di prova in vista delle elezioni regionali previste per la primavera del 2009.


Tuttavia, come ampiamente prevedibile, il referendum è stato invalidato a causa del mancato raggiungimento del quorum richiesto, pari a 515.000 voti: i votanti si sono fermati a quota 300.000, pari a circa il 20% dell’intero corpo elettorale sardo. Hanno dunque prevalso i difensori dell’attuale legge, ma ha soprattutto prevalso il disinteresse quando non l’espressa contestazione verso l’abuso dello strumento referendario, da molti considerato costoso e sostanzialmente inutile. E, anche a livello nazionale, è dura ricordare l’ultima volta che è stato raggiunto il quorum.