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La sedicesima dei dipendenti del Senato

In questi giorni ci stiamo interessando, costantemente stimolati dal recente dibattito sorto intorno alle retribuzioni dei Parlamentari italiani, che secondo le preliminari stime della cosiddetta Commissione Giovannini percepirebbero gli stipendi più alti d’Europa, dei privilegi dei politici italiani che, nonostante le difficoltà economico-finanziarie esacerbatesi causa approvazione manovra salva-Italia e rincari del 2012, non sarebbero ancora stati ridimensionati dal Governo Monti.

A tal proposito veniamo oggi a conoscenza del fatto che i dipendenti del Senato della Repubblica, allo scopo di venir risarciti delle festività soppresse e dell’aumento delle ore lavorative settimanali da 37,5 a 40, come previsto a partire dal 2004  per le sole sedute infrasettimanali che, si dovessero considerare in relazione ai 365 giorni di cui si compone l’anno, non sarebbero poi molte, percepirebbero una mensilità aggiuntiva, definita ufficialmente indennità compensativa di produttività, da considerarsi però, informalmente, equivalente ad una vera e propria sedicesima mensilità.

Chiunque, dunque, abbia la fortuna di lavorare presso il Senato della Repubblica, oltre al prestigio derivante dall’essere stipendiati da una tale istituzione, tra le più importanti in Italia, percepirebbe non solo una tredicesima, a dicembre, ed una quattordicesima, a giugno, come qualunque altro lavoratore dipendente italiano, bensì anche una quindicesima, ad aprile e settembre, come qualsiasi altro dipendente impiegato presso le sedi istituzionali della Repubblica italiana, e, soprattutto, una sedicesima, anch’essa distribuita tra aprile e settembre.

Per di più, come si evincerebbe dalla lettura dell’articolo 17 comma 3 del regolamento relativo ai dipendenti del Senato della Repubblica, la succitata indennità, pur da considerarsi “speciale”, sarebbe valida, a differenza delle numerose altre simili indennità percepite, per esempio, dai dipendenti del Parlamento della Repubblica italiana, ai fini del calcolo dell’assegno pensionistico che, di conseguenza, verrebbe rimpinguato e non certo di poco.