Martina e il reddito per i poveri: pronti al decreto
Il Ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina annuncia che sarebbe pronto un miliardo di euro per il pacchetto “reddito di inclusione”, destinato ai poveri.
Il Ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina annuncia che sarebbe pronto un miliardo di euro per il pacchetto “reddito di inclusione”, destinato ai poveri.
Punti critici rimangono la flessibilità in entrata, la flessibilità in uscita e gli ammortizzatori sociali.
Naturalmente, come si potrebbe facilmente intuire, le riforme riguarderanno anche e soprattutto le politiche sociali, altrimenti definite welfare, ormai strettissimamente collegate alle difficoltà, sia in entrata che in uscita, del mondo del lavoro.
Vediamo, dunque, le proposte del ministro Elsa Fornero in merito alla formazione degli studenti ed agli ammortizzatori sociali dedicati a quanti, il lavoro, rischiano di perderlo.
La proposta consiste nell’equiparare la pensione di vecchiaia delle donne a quella degli uomini. La proposta, almeno in linea di principio, non appare poi così malvagia considerando che, statisticamente parlando, le donne hanno un tasso di mortalità di vecchiaia più alta rispetto a quella degli uomini.
Per la Confindustria, il sostegno alla proposta di Sacconi è espresso dal vicepresidente per le relazioni industriali, Alberto Bombassei, che tuttavia ritiene che la settimana corta può essere considerata ammissibile solo come soluzione-tampone in situazioni emergenziali, e soprattutto assume una sua validità solo se accompagnata da altre misure indispensabili, come una pesante opera di formazione a favore dei lavoratori coinvolti, posto che presumibilmente molti di loro dovranno cercare un nuovo impiego.
Ogni ipotesi di sostegno del reddito, dunque, non può essere vista come a se stante, ma va integrata con soluzioni complementari.
In sostanza, essa costituirebbe un’alternativa alle tradizionali metodologie di applicazione della cassa integrazione. Normalmente, infatti, l’impresa in crisi che accede a tale agevolazione mantiene sul posto di lavoro solo una parte dei lavoratori mentre la parte restante, che rimane a casa, gode per il periodo considerato del trattamento di integrazione salariale, pari ad una percentuale del normale stipendio, che a seconda dei casi è a carico del datore di lavoro oppure dello Stato.